Climate Action Summit 2019:
un nuovo futuro per il pianeta.

L’acqua al centro delle iniziative sul cambiamento climatico.

4 Ottobre 2019

L'acqua è il principale mezzo attraverso il quale avvertiamo gl’impatti del cambiamento climatico: il 90% delle catastrofi globali sono causate infatti da inondazioni, tempeste, siccità e altri eventi meteorologici. La situazione idrica globale peggiorerà nei prossimi anni a causa della crescita della popolazione, della rapida urbanizzazione e dell'industrializzazione: si prevede infatti che nel 2050, a livello globale, circa 4,8-5,7 miliardi di persone vivranno in aree a rischio di scarsità d'acqua per almeno un mese l’anno. L'aumento del livello di mari e oceani ed eventi metereologici estremi legati all’acqua, quali violente mareggiate, potrebbero inoltre costringere centinaia di milioni di persone attualmente abitanti lungo le coste a lasciare le loro case, con un costo totale per le aree urbane costiere che potrebbe superare il trilione di dollari ogni anno entro il 2050. I cambiamenti climatici potrebbero spingere oltre 100 milioni di persone nei paesi in via di sviluppo al di sotto della soglia di povertà entro il 2030.

Il Climate Action Summit, che si è tenuto presso le Nazioni Unite a New York lo scorso 23 settembre, ha quindi messo l’acqua al centro di molte iniziative per garantire un futuro al nostro pianeta.

La siccità è una delle prime conseguenze del cambiamento climatico. Il primo ministro indiano Narendra Modi, intervenendo al Summit, ha dichiarato che l'India spenderà 50 miliardi di dollari nei prossimi anni per la gestione delle risorse idriche, sotto l’ombrello della Jal Jeevan Mission, con l’obiettivo di offrire entro il 2024 fra i 43 e 55 litri di acqua potabile a ogni famiglia indiana. Gli investimenti saranno diretti alla conservazione dell'acqua, alla raccolta dell'acqua piovana e allo sviluppo delle risorse idriche. Attualmente infatti solo metà delle famiglie indiane ha accesso ad acqua potabile.

Il primo ministro indiano ha inoltre invitato gli Stati membri delle Nazioni Unite a unirsi alla Coalition for Disaster Resilient Infrastructure. Questa partnership intende favorire l’adozione di infrastrutture in grado di resistere agli impatti ambientali causati in larga parte dal cambiamento climatico. «Il nostro ambiente urbano è sempre più minacciati da eventi meteorologici estremi. Oltre due terzi delle perdite economiche sono causate da danni alle infrastrutture. Sette milioni di persone sono state sfollate solo quest'anno a causa dei cicloni che hanno devastato città e abitazioni nelle Bahamas, in India e in Mozambico. La mancanza di un'infrastruttura resiliente e in grado di prevenire i rischi provoca la perdita di vite, case e mezzi di sussistenza», ha dichiarato Mami Mizutori, Rappresentante speciale del Segretario Generale per la Riduzione dei rischi, nel corso di un’intervista di presentazione dell’iniziativa.

Gli oceani sono stati un elemento chiave nei lavori del Summit. Le azioni climatiche basate sugli oceani potrebbero infatti fornire fino al 21% delle riduzioni delle emissioni necessarie per limitare il riscaldamento globale a non più di 1,5 gradi Celsius entro il 2050. Queste riduzioni potrebbero ammontare a 11,8 gigatonnellate di anidride carbonica equivalente, o CO2e - un'unità standard che misura l'impatto dei gas a effetto serra in relazione agli effetti della CO2. Questa cifra è superiore alle attuali emissioni di tutte le centrali elettriche a carbone in tutto il mondo. Questi sono i principali indicatori di un rapporto scientifico (“The Ocean as a Solution for Climate Change: 5 Opportunities for Action”) reso pubblico al Summit. Il rapporto, realizzato dall’High Level Panel for a Sustainable Ocean Economy - un gruppo di 14 capi di Stato e di governo, supportati da scienziati ed esperti del settore - fornisce la prima analisi quantitativa sul ruolo degli oceani nella lotta ai cambiamenti climatici.

Le principali aree di intervento prospettate nel report riguardano:

  • l’aumento delle energie rinnovabili basate sugli oceani, che potrebbero risparmiare fino a 5,4 gigatonnellate di CO2e all'anno entro il 2050, equivalenti a portare fuori circolazione oltre un miliardo di automobili ogni anno,
  • la decarbonizzazione delle spedizioni e dei trasporti marittimi nazionali e internazionali, che potrebbero tagliare fino a 1,8 gigatonnellate di CO2e all'anno entro il 2050,
  • la protezione e il ripristino degli ecosistemi del "carbonio blu" - mangrovie, alghe marine e saline - potrebbero impedire a circa 1 gigatonnellata di CO2e di entrare nell'atmosfera entro il 2050,
  • l’utilizzo di fonti di proteine provenienti dagli oceani, come i frutti di mare e le alghe, consentirebbe di aiutare a nutrire le popolazioni in modo sano e sostenibile, alleviando nel contempo le emissioni causate dalla produzione alimentare terrestre, comportando riduzioni delle emissioni fino a 1,24 gigatonnellate di CO2e all’anno entro il 2050.

Norvegia e Palau, due stati le cui risorse dipendono in gran parte dall’oceano, rappresentati rispettivamente dal Primo Ministro, Erna Solberg, e dal Presidente, Tommy Remengesau Jr., sono a capo dall’High Level Panel for a Sustainable Ocean Economy e congiuntamente hanno rilasciato alla CNN una dichiarazione in cui affermano: «Fino ad ora gli oceani hanno svolto un ruolo relativamente minore nei piani e nelle strategie nazionali per il clima. Le azioni delineate nel nostro rapporto invece offrono nuove, interessanti opportunità per combattere la crisi climatica. Tutti i governi dovrebbero incorporare soluzioni basate sugli oceani nei loro impegni nazionali sul clima nel 2020 e nelle loro azioni per raggiungere gli obiettivi di sviluppo sostenibile. Lavoriamo insieme e cogliamo l'occasione per salvare il nostro clima trasformando il modo in cui interagiamo con gli oceani».

Abbiamo le tecnologie per fare dell’acqua il vero motore della nuova economia circolare, si tratta ora di metterle al lavoro prima che sia troppo tardi.